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CUNEESE

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Il Cappone di Morozzo
Il Cappone di Morozzo
Il Cappone di Morozzo
Sito web: http://www.capponedimorozzo.it

La razza utilizzata per la produzione del cappone tradizionale di Morozzo è la cosidetta nostrana.
Le caratteristiche morfologiche del cappone di Morozzo sono il piumaggio lucente e variopinto (sinonimo di buono stato di salute) , la testa piccola di colore giallo privo di bargigli e cresta, le zampe sottili di colore giallo arancione, la pelle di colore giallo paglierino (indice di congruo ingrassamento) e il peso variabile tra i due e i tre chilogrammi.
Nel regolamento C.E. n° 1000/96 del 04/06/1996 è prevista una superficie minima di mq 2/capo e la macellazione ad un'età di almeno 77 giorni.
Il cappone di Morozzo, come da metodi tradizionali, deve essere necessariamente allevato a terra, libero nell'aia o nell'ambito di recinzioni adeguate per il quale è prevista una superficie minima di 5 m2 per capo escludendo l'allevamento in gabbia.
Il Cappone tradizionale di Morozzo viene macellato ad un'età di almeno 220 giorni.
Gli animali sono alimentati con prodotti esclusivamente vegetali con esclusione di componenti di origine animale, antibiotici e fattori migliorativi della crescita.
La castrazione è imprescindibilmente di tipo chirurgico (tradizionale).
Con l'istituzione del Presidio, Slow Food in collaborazione con il Comune di Morozzo, ha creato l' albo degli allevatori, con un disciplinare di allevamento particolarmente rigido, garantendo così un prodotto genuino nel pieno rispetto della tradizione.

Il Cappone in Tavola:

Cappone Bollito
Cuochi e gastronomi sono concordi: perchè sia esaltato il sapore delle carni il cappone va bollito. Gli ingredienti per questo bollito di Natale sono: un cappone, cipolla, carota, sedano sale.Immergere il cappone in acqua già bollente, salata e con gli aromi, lasciando bollire moderatamente per evitare che la pelle si laceri, per circa un'ora e mezza. Servirlo ben caldo, presentandolo a schiena rivolta perchè si possa notare il filo con il quale il cappone è stato cucito dopo la castratura, garanzia che si tratta di un animale allevato con metodi tradizionali, accompagnato dal classico bagnet verde.Il brodo, ben schiumato e liberato dal grasso in eccesso può essere servito in tazza con crostini di pane o essere utilizzato per la cottura dei tortellini.

Cappone in Salsa Ghiotta
Anche arrostito il cappone può essere un'autentica delizia. Ecco gli ingredienti per quest'insolita ricetta: un cappone, 100 gr. di prosciutto crudo, due tuorli, limone, panna, burro, olio, sale, pepe, cipolla, rosmarino, vino bianco secco.Salare e pepare il cappone, legarlo con uno spago sottile, rosolarlo con burro e olio, poca cipolla e rosmarino tritati, unendo poi il prosciutto a striscioline. Cuocerlo aggiungeno di tanto in tanto un po' di vino. A cottura ultimata sgocciolarlo, tagliarlo, sistemarlo nel piatto di portata e tenerlo in caldo. Rimettere sul fuoco il sugo di cottura, aggiungere un bicchiere di panna ed il succo di mezzo limone. Far sobbolire per pochi istanti e completare con i due tuorli. Versare la salsa ben calda sul cappone. Servire subito con contorno di cipolline o funghi trifolati.




Il Distretto del Fagiolo Cuneo
Il Distretto del Fagiolo Cuneo

Il fagiolo venne introdotto nell’areale cuneese agli inizi del 1800. Non vi sono, infatti, testimonianze di coltivazioni in epoca anteriore nella zona di Cuneo. Nel 1823, come si evince da mercuriali del comune di Centallo, furono commercializzate buone quantità di fagioli. Risalgono invece al 3 gennaio 1849 i prezzi e le quantità di fagioli secchi rilevati dai mercuriali del Comune di Caraglio. Da questi ultimi documenti si evidenzia che l’unità di misura era l’Emina, un antico sistema di misura dei cerali e legumi corrispondente a 20 kg.
Le notizie storiche sono numerose e certe testimoniando come la coltura del fagiolo rivestiva un ruolo importantissimo nell’economica rurale delle valli cuneesi.
Il fagiolo Cuneo è considerato un Prodotto Agroalimentare Tradizionale ed è presente nell’elenco dei P.A.T. stilato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.
Attualmente il fagiolo Cuneo è in corso di riconoscimento I.G.P. presso il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.
Il territorio nel quale il Fagiolo di Cuneo trova il suo “habitat” naturale è strettamente montano e pedemontano. Lo stesso presenta una configurazione orografica compresa tra i 200 e 800 m s.l.m. ed è in gran parte circondato dalla catena delle Alpi Marittime.
In questo ambiente, caratterizzato da un clima fresco e da una forte escursione termica tra giorno e notte gli investimenti produttivi di fagiolo risultano molto elevati e di ottima qualità in quanto le escursioni termiche giornaliere associate ad elevata luminosità dell’ambiente conferiscono ai baccelli maggior colore e consistenza. Inoltre le temperature contenute nella fase tardo invernale determinano significativi posticipi delle semine-fioritura tanto da prolungare, rispetto alle altre aree di produzione nazionale, le epoche di maturazione e quindi di commercializzazione.
L’insieme di questi fattori ambientali rende esclusiva la qualità del fagiolo di Cuneo.
Importanti sono anche i fattori umani fortemente radicati sul territorio. Ne sono un esempio il metodo di coltivazione tradizionale che si tramanda da padre in figlio nel coltivare il fagiolo rampicante (unico areale insieme al Veneto a livello nazionale dove è diffuso questo tipo di ortaggio). Una coltura che sicuramente necessita di molta manodopera e che nell’areale di Cuneo è esclusivamente di tipo famigliare. Tutto ciò ha sempre determinato un certo legame umano con la coltura: ne sono ancora un esempio oggi i “raduni famiglia” dove i componenti la famiglia stessa, i parenti e gli amici si ritrovano per aiutare il conduttore aziendale a “sfilare” le piante di fagiolo “Billò” secco prima della trebbiatura, a seminare e piantare le canne.
La coltivazione di fagioli rampicanti necessità di sostegni quali le canne. Anche su questo aspetto c’è quasi un legame tra il produttore e questo tipo di tecnica colturale in quanto esiste solo ed esclusivamente nell’areale cuneese la tradizione di legare quattro canne insieme nella parte apicale a formare una specie di “tenda da indiano”.
Notevole importanza trova il fagiolo di Cuneo nel settore gastronomico. Sono tantissime le ricette nelle quali si trova come ingrediente “principe” il fagiolo rampicante di Cuneo. Tra queste “il minestrone di fagioli” che ha come ingredienti fondamentale oltre all’aglio, il lardo, i porri, le patate, il peperoncino, l’olio, il sale, il “fagiolo di Cuneo”.




Le “Castagne Cuneo”
Le “Castagne Cuneo”

Le “Castagne Cuneo” hanno ottenuto l’Indicazione Geografica Protetta dal MIPAF il 22 agosto 2003 ora in corso di formalizzazione da parte della Commissione Europea.
Un’importante risorsa di origini antiche è sicuramente il castagno. Nelle valli sono diffusi, o meglio, sopravvissuti castagneti da frutto coltivati per la produzione della castagna bianca e della farina di castagne, prodotti in passato molto importanti per il sostentamento delle famiglie contadine.
La castagna bianca deve le sue peculiarità alle particolari condizioni pedoclimatiche del territorio ed alle varietà utilizzate, esclusivamente locali (prevalgono le varietà Gabbiana e Frattona). La garanzia di salubrità è fornita dalle tecniche di produzione che si possono senza dubbio definire biologiche, non essendovi ricorso a concimi chimici o fitofarmaci.
L’importanza della castanicoltura in questi territori è sottolineata dalla presenza dell’intera filiera, con la raccolta parzialmente meccanizzata del frutto e con l’essiccazione in più strutture presenti nelle valli, oltre ai seccatoi a conduzione aziendale.
Il frutto delle “Castagne Cuneo I.G.P.” deriva dalle seguenti varietà locali:
Ciapastra, Tempuriva, Bracalla, Contessa, Pugnante, Sarvai d’Oca, Sarvai di Gurg, Sarvaschina, Siria, Rubiera, Marrubia, Gentile, Verdessa, Castagna della Madonna, Frattona, Gabbiana, Rossastra, Crou, Garrone Rosso, Garrone Nero, Marrone di Chiusa Pesio.
Le “Castagne Cuneo”, allo stato fresco, presentano una pezzatura minima pari a 100 acheni per chilogrammo, una colorazione esterna del pericarpo che va dal marrone chiaro al bruno scuro, un ilo più o meno ampio, mai debordante sulle facce laterali di colore nocciola e raggiatura stellare, un epicarpo da bianco a giallo paglierino, una consistenza croccante ed un sapore dolce e delicato.
Le fustaie di castagno da frutto sono situate nell’area che si estende a tutte le vallate della provincia di Cuneo ed ai terreni di fondovalle. Coltivati a castagno sono i terreni generalmente profondi, drenati, ricchi di sostanza organica e privi di calcare attivo, che conferiscono al frutto le particolari caratteristiche organolettiche. Le cure apportate ai castagneti, le forme di allevamento, i sistemi di potatura periodica e pluriennale, tradizionalmente in uso nel territorio, sono atti a non modificare le caratteristiche peculiari dei frutti. La densità di piante in produzione per ettaro normalmente non supera le 150 piante mentre la produzione raggiunge, al massimo, i 30 quintali per ettaro. La raccolta viene effettuata manualmente o con mezzi meccanici tali, comunque, da salvaguardare l’integrità del prodotto. Non vengono somministrati fertilizzanti e fitofarmaci di sintesi, ad eccezione di quelli consentiti dall’agricoltura biologica e dei mastici medicati usati per proteggere le ferite dopo interventi cesori (potatura).
La conservazione del prodotto viene fatta mediante un trattamento in acqua calda (50°C per 45 minuti) secondo la corretta tecnica tradizionale utilizzata. In alcuni casi, si ricorre alla tecnica della “curatura” che consiste nell’immergere le castagne, subito dopo la raccolta, in vasche contenenti acqua a temperatura ambiente per 7-9 giorni (per tale ragione è anche chiamata “novena”). Vengono allontanate le castagne galleggianti, mentre quelle rimaste sul fondo sono, al termine del trattamento, disposte in sottili strati su pavimenti porosi operando continui palleggiamenti per una rapida asciugatura. Frequentemente, l’acqua rimasta nelle vasche viene riutilizzata in quanto sembra che manifesti un più efficace effetto conservativo. L’effetto preconservativo della curatura non è ancora del tutto ben chiaro, ma è da supporre che si manifesti una leggera fermentazione lattica a scapito degli zuccheri presenti, con abbassamento del pH e, quindi, formazione di un ambiente inadatto alle crescite fungine. A seguito di studi recenti, questa azione conservativa è stata anche attribuita ad un effetto favorevole esercitato da composti fenolici quali curarine, scopoletine ed esculentine attraverso una azione inibitrice dei patogeni. Questa pratica, come è stata finora fatta, comporta notevoli problemi operativi e la necessità di avere grandi spazi per le vasche e soprattutto per l’asciugatura, oltre ad un notevole impiego di manodopera per le operazioni di carico, scarico e paleggiamento. E’, infine, da sottolineare che l’asciugatura richiede condizioni particolari di temperatura che non è sempre possibile avere nel periodo autunnale e che il metodo di selezione per immersione non è sicuro in quanto non tutte le castagne malate galleggiano e viceversa. Un sistema innovativo di conservazione consiste nel porre le castagne, raccolte dopo un periodo molto breve, che intercorre dal momento in cui cadono dal riccio a quello in cui vengono portate nei centri di raccolta, in grossi recipienti, facilmente stoccabili nelle celle di conservazione. Una volta riempita, la cella di conservazione, che dovrà essere a tenuta, verrà chiusa; si procederà, quindi, alla modifica delle condizioni ambientali, individuate in una atmosfera costituita dal 78% di azoto, dal 20% di anidride carbonica e dal 2% di ossigeno. Durante il periodo di conservazione, la temperatura verrà portata a 0°C, mentre l’umidità relativa verrà mantenuta intorno a 90-95%. In queste condizioni, il prodotto può essere stoccato per un periodo fino a 6 mesi senza avere alcun problema di conservazione, inoltre, il prodotto presenta basso calo di peso ed assenza di muffe e di marciumi. Attraverso questa tecnica conservativa, oltre ad avere un elevato controllo patologico, si riducono considerevolmente i costi gestionali, altrimenti altissimi per un impianto di curatura, il tutto a vantaggio del produttore e del consumatore. E’, inoltre, ammessa la conservazione tramite sbucciatura e successiva surgelazione, secondo le modalità previste per i prodotti surgelati. La commercializzazione delle “Castagne Cuneo” può avvenire oltre che sotto forma di prodotto fresco, anche come prodotto trasformato, con denominazione “Castagne Cuneo-secche” o “Castagne Cuneo-farine”.
Il metodo tradizionale di preparazione delle castagne secche consta di due fasi:
l’essiccazione - è pratica antica e compare con la diffusione della coltura del castagno e con il problema della conservazione delle castagne per un lungo periodo. L’essiccazione avviene a fuoco lento in apposite strutture in muratura, i cosiddetti “essiccatoi”, che ricalcano il modello degli antici “secou”, in legno e dislocati nei boschi. L’essiccatoio e composto da due piani. In quello inferiore, che funziona da caldaia, viene acceso un fuoco, alimentato tre volte al giorno con legna di castagno o prodotti forestali di scarto (ricci, bucce di castagna, fascine, segatura). Al piano superiore si trova un unico graticcio, in legno o in metallo. I graticci in legno, costituiti da listelli di 3-4 cm di spessore e distanziati tra loro di circa 1 cm erano i più usati perché meno costosi e, in caso di incendio, lasciando cadere le castagne, bloccavano immediatamente il propagarsi del fuoco. Quelli di metallo hanno una durata superiore con maglie di 1 cm2. Le castagne sono disposte sul graticcio in uno strato dapprima di 20 cm che può aumentare gradualmente fino ai 30-50 cm. Durante l’essiccazione i frutti vengono periodicamente rivoltati, sorvegliando che la temperatura si mantenga costante. Il peso del prodotto che si ottiene dopo 30-40 giorni di essiccazione è circa 1/3 di quello originario.
la sbucciatura (pelatura o sgusciatura) - terminata la fase dell’essiccazione, le castagne secche vengono sottoposte alla sbucciatura cioè all’eliminazione dell’epicarpo. In passato, questa operazione veniva effettuata utilizzando diverse tecniche: le castagne secche, ad esempio, venivano “battute” all’interno di un sacco contro un ceppo o per terra oppure si “pestavano” con apposite calzature dalla suola munita di punte di legno o con cilindri di legno dotati di punte e di un manico. Negli ultimi anni, si procede alla sbucciatura meccanica. Le castagne secche sgusciate si presentano intere, sane, di colore paglierino chiaro, con non più del 10% di difetti (tracce di bacatura, deformazione, rotture, frutti con tracce di pericarpo, ecc.) e non oltre il 3% di prodotto bacato. La tecnica di produzione della farina di castagne è quella in uso nella tradizione locale che prevede, dopo una prima fase di cernita dei frutti, la molitura delle castagne in mulini da talco, che consentono di ottenere una farina di castagne finissima. L’umidità contenuta nei frutti sfarinati non deve essere superiore al 15% per permettere un’adeguata conservazione del prodotto.





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