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VALLE MAIRA

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Arte e storia nella zona VALLE MAIRA


Arte e Storia in Val Maira
Arte e Storia in Val Maira
Arte e Storia in Val Maira

La Valle Maira è la più selvaggia, intatta e ricca di opere d'arte tra le valli saluzzesi. Una buona rete di Sentieri occitani, servita da posti tappa, la raccomanda per il turismo naturalistico e culturale. In prossimità di Busca, seguire le indicazioni per la Val Maira. A circa 10 km da Busca, si raggiunge Villar San Costanzo (m. 605 ). La Parrocchiale, ricostruita da F. Gallo nel 1722, era la chiesa dell'antica Abbazia Dei SS. Pietro e Costanzo, (VIII sec.), di cui rimane la suggestiva Cripta (XI-XII sec.) e la splendida Cappella di San Giorgio, affrescata nel 1469 dal pittore Pietro da Saluzzo. In prossimità di Villar si trova la Riserva Naturale dei Ciciu del Villar, bizzarre e rare colonne di erosione sormontate da un masso. Proseguendo per Dronero (m.622), senza entrare nella cittadina, si imbocca a destra una strada (asfaltata soltanto nel primo tratto) che conduce all'antico Santuario di Santa Maria Delibera (sec. XI-XIX), e più oltre al Santuario di San Costanzo al Monte (VIII-XII sec.), il cui splendido interno romanico, ornato di rilievi e capitelli scolpiti, ospita una vasta cripta, che un tempo accoglieva le reliquie del martire Costanzo (in restauro nel 2000). Dronero, merita senz'altro una passeggiata nel centro storico, per vedere il merlato Ponte Vecchio sul Maira (1428) da cui si ha un superbo colpo d'occhio, la gotica Parrocchiale dei SS. Andrea e Ponzio col portale in marmo scolpito degli scultori Zabreri (1461), il trecentesco Foro Frumettario, un'ottagonale loggia per il mercato, il Museo Mallè, collezione di dipinti di antichi maestri, sculture, arredi e altri oggetti di pregio, e i portici, le piazze, i caffè, i molti palazzi aristocratici che conferiscono alla città un signorile decoro. Lasciando Dronero, e imboccando la Valle Maira, sulla destra si estende il Comune di Roccabruna, con le sue 92 borgate circondato da boschi e magnifiche pinete e dominato dal Santuario di S.Anna, sul colle omonimo. A 6,5 km si incontra il comune di Cartignano (m.694),che si affaccia dalla sommità di un poggio con le torri del poderoso Castello (non visitabile). A 3,5km si raggiunge San Damiano Macra (m 736). Il paese conserva opere degli scultori Zabreri, attivi nella seconda metà del '400, nel portale della Parrocchiale e nell' antica Parrocchiale di borgata Pagliero, a circa tre km dal centro. Superato Lottulo, entrati ormai nel comune di Macra accanto alla strada, sorge la Cappella di San Salvatore (XII sec.), con San Peyre di Stroppo la chiesa più antica della valle, che conserva all'interno importanti affreschi sia romanici (XIII sec.), sia quattrocenteschi (chiavi: parrocchia di S. Damiano Macra). Poco oltre, la deviazione per borgata Villar e la Parrocchiale di Macra conduce, dopo la prima curva a gomito, ad un sentiero pedonale lungo il quale sorge la Cappella di San Pietro (XIV-XV sec.), decorata all'interno da un ciclo di affreschi con resti di una Danza Macraba accompagnata da strofe in occitano e in antico francese. Superata Macra, una deviazione consente di salire fino a Celle Macra (1270 m), il paese degli acciugai ambulanti. Qui, la Parrocchiale di San Giovanni Battista (XVIII sec.) conserva uno stupendo Polittico di Hans Clemer, il pittore di Elva e dei Marchesi di Saluzzo (1496). A qualche centinaio di metri dal centro, la Cappella di San Sebastiano conserva, invece, un eccezionale ciclo di affreschi del pittore Giovanni Baleison di Demonte (1484), raffiguranti l'oltretomba con grande vivacità fantastica. Scesi nuovamente sulla SS.22, si raggiunge Stroppo (1087m.), antico capoluogo dell'alta Valle Maira. Qui, imboccata la deviazione per borgata Paschero, dove sorge la Parrocchiale di San Giovanni Battista (XV sec) proseguendo si raggiunge la Chiesa di San Peyre (XII-XV sec.), a strapiombo sulla valle, uno dei monumenti più noti e importanti. Conserva all'interno (curiosamente a due absidi) affreschi tre-quattrocenteschi, tra cui pregevoli soprattutto quelli del cosiddetto "Maestro di Stroppo", con Storie della Vergine (I metà del '400). Dalla strada di San Peyre, o piuttosto, ritornati sulla SS.22 e superato Stroppo Bassura, dalla successiva deviazione per la caratteristica Strada del Vallone si raggiunge Elva (1637 m.), forse il più suggestivo paese della Valle Maira per il suo isolamento, la posizione e i tesori d'arte che racchiude. La Parrocchiale di Santa Maria Assunta (XIV-XVIII sec) ospita infatti uno straordinario ciclo di affreschi di Hans Clemer, ovvero il "Maestro di Elva" (Storie della Vergine, c. 1504,) con una superba Crocifissione, e inoltre un ciclo scultoreo in forme ancora romaniche (portale, arco trionfale, fonte battesimale, XV sec.). Elva - servita da una buona rete di sentieri - è legata al ricordo dei caviè, i mercanti ambulanti di capelli, mestiere cui gli elvesi si dedicarono fino al primo Novecento. Ridiscesi sulla Statale, dopo poco si incontra la deviazione per Marmora e Canosio, due paesi di grande interesse ambientale, tappa di belle escursioni. A Marmora, la Cappella di San Sebastiano conserva un ciclo affrescato del Baleison (c. 1470, chiavi c/o trattoria Ceaglio); la Parrocchiale, posta più in alto, ha affreschi dei fratelli Biazaci di Busca (1459) e un'importante lapide romana. Dal fondovalle, superato Prazzo (1030 m.), si raggiunge Acceglio (1220 m.), l'ultimo Comune della valle. Qui esiste un delizioso Museo d'Arte Sacra, che ospita oggetti sacri provenienti dalle chiese dell'alta valle. Da Acceglio dopo 7 km si giunge, ai piedi della superba punta della Rocca Provenzale, a frazione Chiappera, base delle magnifiche escursioni in alta valle.




Architettura Tipica in Val Maira
Architettura Tipica in Val Maira
Architettura Tipica in Val Maira

L’elemento di base delle costruzioni della Val Maira è la casa a base rettangolare con muri di pietra e tetto a debole inclinazione, coperto da lastre di ardesia (lose). Normalmente nell’alta Val Maira questa casa a base rettangolare è orientata col lato più lungo parallelo alla linea di massima pendenza del terreno, per quanto non manchino costruzioni, in genere più recenti, col colmo del tetto parallelo alle linee di livello. Nella maggioranza dei casi vi sono tre piani, il più basso costituito da una o più stalle, un piano intermedio con camere o depositi e un fienile sotto il tetto. Nelle costruzioni più antiche non esistono scale e la pendenza del terreno viene usata per accadere ai diversi piani. Le stalle più antiche hanno un soffitto in legno. Più tardi fu introdotta la volta a botte, il cui uso divenne predominante. In questa si nota sovente un piccolo foro centrale che permetteva di osservare il bestiame dalla camera sovrastante. Per il piano superiore il soffitto in legno venne più tardi rimpiazzato da strutture miste di legno e pietra, in cui travi di larice assai ravvicinate sostengono piccoli voltini di pietra, o semplicemente delle pietre poste di taglio per riempire lo spazio tra le travi. Nel periodo tra il 1200 e il 1500, che fu l’epoca in cui la Val Maira fu economicamente più prospera, questo edificio di base si sviluppò in costruzioni signorili caratterizzate da spigoli in grandi blocchi di pietra squadrata, portali e finestre in pietra, soffitti sostenuti da grandi travi in larice squadrato. Tipico di quest’epoca è lo sviluppo delle facciate "a vela" più alte del tetto e terminanti con una loro propria copertura in lastre di pietra. Un’altra caratteristica architettonica dell’alta Val Maira è data dalla colonne rotonde in muratura di pietra. Talvolta le colonne sostengono delle camere i cui muri sono poggiati su travi incastrate nella muratura delle colonne stesse. Queste camere sospese sulle colonne sono di solito sovrastate da un fienile parzialmente chiuso da assiti.




Mestieri Antichi in Val Maira: ANCIÜÌE E CAVIÈ (LHI PELASSIERS)
Mestieri Antichi in Val Maira: ANCIÜÌE E CAVIÈ (LHI PELASSIERS)
Mestieri Antichi in Val Maira: ANCIÜÌE E CAVIÈ (LHI PELASSIERS)

Nella Valle erano famosi i commerci degli acciugai e il curioso lavoro itinerante dei cavié che giravano le valli alla ricerca di donne disposte a sacrificare i propri capelli (fatti crescere appositamente e raccolti in una lunga treccia) per partecipare al mantenimento della famiglia e li rivendevano ai fabbricanti di parrucche nell’apposito mercato di Saluzzo.
L’ anciüè era il venditore ambulante di pesce di mare che riforniva il nord dell’Italia, e proveniva da quella particolare vallata alpina cuneese che è la Valle Maira. Le origini di questo mestiere sono molto antiche, ma nessuno sa con precisione quando abbia avuto inizio; realtà e leggenda si sono mescolate dando vita a differenti versioni. L´acciuga sotto sale era consumata nelle Langhe già nel medioevo, ma si pensa che tale cibo fosse già presente sulle tavole dei romani. Le origini di una simile abitudine alimentare sono state fatte risalire da alcuni autori alle invasioni dei saraceni che, dopo essersi insediati nel Nizzardo e in Provenza, raggiunsero anche l´Italia, arrivando sia in Liguria che in Piemonte accompagnati da distruzione e morte. Le invasioni durarono più di mezzo secolo prima che i signori locali si organizzassero per sconfiggerli. La leggenda narra che alcuni Saraceni si rifugiarono in una conca in mezzo al verde della Valle Maira, più precisamente nel paese di Moschieres, e che lì si insediarono definitivamente. Visto che i primi acciugai, a memoria d´uomo, partirono proprio da Moschieres, la leggenda vuole che la nostalgia del mare fosse la causa che li spinse sulle coste della Liguria e della Francia per intraprendere questo commercio. Secondo altre testimonianze le origini del commercio di acciughe potrebbero essere ricondotte ai viaggi dei pellegrini. Una delle mete preferite nei pellegrinaggi dagli abitanti di questa zona e Era infatti il santuario di San Giacomo di Compostela, in Spagna. Pare che qualche pellegrino più intraprendente abbia pensato di rendere proficuo il cammino del rientro vendendo questi pesci acquistati in Spagna lungo la via del ritorno e che, verificato il successo dell’iniziativa, abbia poi deciso di farne una attività continuativa. Altre situazioni possono essere individuate quali occasioni per lo sviluppo del commercio delle acciughe. Una di queste è sicuramente rappresentata dal contrabbando di sale. Il sale era un prodotto pregiato e indispensabile, sia per le persone ma soprattutto per le bestie, e come tale sottoposto a dazi estremamente elevati. Un barile riempito per tre quarti di sale e per un ultimo quarto di pesce consentiva un notevole risparmio di imposte. Ma una volta giunti a destinazione le acciughe non potevano essere buttate via e quindi occorreva attrezzarsi per commercializzarle. Questa ipotesi è validata dagli itinerari utilizzati dai commercianti di sale che acquistavano il loro prodotto presso le saline di Salon en Provence, de l´Etang de Berre alle foci del Rodano in Francia. Altra possibile occasione di avvio di relazioni commerciali era il baratto tra i prodotti tipici della montagna, capelli e tele, o servizi come la costruzione di botti, in cui i valligiani erano maestri, con i prodotti ittici tipici delle popolazioni confinanti: i liguri e i francesi. Alcune testimonianze orali ricordano “Qui nei nostri valloni le donne, durante l´inverno, filavano la canapa. Alcuni artigiani locali, per mezzo di telai rudimentali, convertivano questo filato in grandi pezze di tela grezza. Gli uomini di Moschieres caricavano questa tela su dei carrettini da trascinare a braccia e, a piedi, si recavano a venderla nei paesini della costiera ligure. Gli acquirenti erano per lo più le umili famiglie di pescatori con cui barattavano dei barattoli d´acciughe preparati in casa. In questo modo la tela era stata convertita nel pesciolino sotto sale e allora per i nostri bravi uomini, sulla via del ritorno, si trattava di convertire il prodotto in soldi correnti.” Quest’ultima è sicuramente la causa più plausibile a cui se ne aggiunge un'altra, fondata anch’essa sul baratto e documentata dalle statistiche. Nei porti dell’allora Regno di Sardegna (il fenomeno si verifica a partire dalla metà del ´700) giungevano molte navi inglesi che venivano a caricare la seta di cui il Piemonte, in particolare il Cuneese, era grande e qualificato produttore. L´Inghilterra infatti desiderava non dipendere per i suoi approvvigionamenti di seta esclusivamente dalla Francia. Il pagamento della merce avveniva in denaro, ma anche, in misura significativa, barattandola con altra merce: il pesce dei mari settentrionali. Le statistiche del Regno di Sardegna registrano 40-50.000 barili scaricati annualmente sulle banchine, molti pieni di acciughe: una pacchia per gli ingeniosi montanari della Val Maira in trasferta al mare, uno stimolo alla loro capacità di impresa. E´ probabile che tutte le situazioni sopra esposte rappresentino l´insieme delle concause che, in momenti e condizioni storiche e sociali differenti, hanno fatto del commercio di pesci salati l´attività che più ha condizionato nel tempo la storia di una popolazione. Per molti valligiani questo lavoro ha rappresentato il punto di partenza di un percorso che ha coinvolto più generazioni e che, per decenni o addirittura per secoli, ha svolto una funzione di freno all´esodo definitivo dalla montagna, offrendo diverse e valide alternative o complementarietà. Di padre in figlio, attraverso gli anni, fino a quando lo scenario economico sociale si è modificato radicalmente, seguendo e adattandosi allo sviluppo del sistema distributivo italiano, gli acciugai sono passati da forme di commercio ambulante, itinerante e temporaneo, a forme di commercio stabile anche ben integrate con le logiche distintive della grande distribuzione. Non si tratta di commercio in generale, ma della distribuzione di un prodotto particolare e atipico se si rammenta che si sta disquisendo di popolazioni montane. Il pesce conservato sotto sale ha rappresentato per secoli il cibo dei poveri e l´acciuga o la saracca furono d´inverno il companatico principale se non l´unico delle popolazioni povere. Il prodotto veniva distribuito da una molteplicità di venditori ambulanti che giravano di cascina in cascina, chiamati comunemente acciugai. Un alimento povero, per una popolazione povera, distribuito da povera gente e pertanto non riportata negli annali e quindi con una storia difficile da ricostruire. Secondo un’ipotesi, la più verosimile, questo commercio avrebbe avuto origine da occupazioni preesistenti. Alcuni raccontano che un bottaio locale, recatosi a lavorare in Liguria, avrebbe fatto ritorno con un paio di botti piene di acciughe, rivendendole lungo la strada e rendendosi conto che quel tipo di commercio sarebbe stato redditizio. Altri, invece, raccontano che questa professione nacque grazie a un contadino di Celle Macra che, trovandosi a Genova, acquistò un barilotto di acciughe che riuscì a vendere con facilità, ottenendo un buon guadagno. La notizia si diffuse in Valle Maira, dove così s’iniziò a praticare tale mestiere, che però non si diffuse in tutta la Valle, ma divenne caratteristico di una zona limitata posta sulla destra orografica del fiume Maira e nella parte iniziale della vallata. Qualunque sia stato il motivo che ha spinto i primi venditori ambulanti ad affrontare questo particolare commercio, è certo che, visto il prosperare dei loro affari, assunsero i ragazzini delle borgate vicine in qualità di garzoni. Di qui un aumento della concorrenza e l´esigenza di andare alla ricerca di nuovi mercati, dapprima attraverso tutto il Piemonte, poi estendendo l´attività anche in Lombardia. Particolarmente abili, capaci e smaliziati si rivelarono i garzoni provenienti da Celle Macra che in breve tempo assunsero posizione dominante nel singolare commercio. Città come Torino, Alessandria, Asti, Milano, Cremona, Pavia e Bologna vennero ricolmate d´acciughe, tutti i borghi e tutti i cascinali sparsi nell´immensa pianura Padana furono raggiunti e visitati da questi venditori erranti.
I Caviè (Lhi Pelassiers in dialetto occitano), i capellai di Elva, partivano all'inizio dell'autunno, quando i lavori agricoli erano terminati, per raggiungere la Lombardia, il Veneto ed ovunque potessero trovare una donna o una ragazza disposta a cedere la propria folta chioma in cambio di qualche lira, un pezzo di stoffa o un foulard e durava fino al 12 maggio, data del rientro a Elva per la festa del patrono S. Pancrazio. Battevano tutta l´Italia settentrionale, dal Piemonte (il cui capello era assai ricercato) al Veneto, al Friuli (grandi fornitori), e scendevano fino alle Marche (non oltre, più a sud il capello era spesso e rigido) oppure andavano oltralpe (caviè furono segnalati persino in Scandinavia). Fondamentale per un bravo Pelassier era la capacità di persuasione e un certo stile nel vestire e nel portamento. Proponeva, più che il denaro, lo scambio con una pezza di stoffa o un grembiule o un fazzolettone o dei nastri, beni ambiti soprattutto dalle madri che per loro cedevano i capelli delle figlie Durante il lavoro ed in circostanze particolari i Pelassiers parlavano tra loro con un gergo speciale, composto di vocaboli inventati e consolidati di padre in figlio, che li permetteva di comunicare senza essere capiti da altri. Quando le trecce vere e proprie scarseggiavano si accontentavano anche dei capelli venuti al pettine (pels dal penche). Chiuso tutto il raccolto in grossi sacchi, li portavano ad Elva dove, donne e ragazze abili e pazienti, li lavavano, pettinavano con brusche speciali e mazzettavano a seconda della colorazione, della lunghezza e della finezza, in appositi laboratori familiari. A lavorazione terminata le file di trecce venivano messe ad asciugare al sole sui loggiati delle case e poi spediti ai grossisti. Essi trasformavano i capelli in pregiate parrucche per le acconciature dei Lord, delle dame aristocratiche, dei Sommi Magistrati e delle attrici di cinema e teatro e le esportavano nelle principali città europee (Londra, Parigi ed Amburgo) e d'oltreoceano (New York e Buenos Aires). Incerte le origini del mestiere già praticato negli anni 1828–30 (un “negoziante in cascame” figura in quegli anni fra i consiglieri comunali). Secondo una tradizione, l´idea sarebbe stata portata a Elva da un qualche elvese, soldato napoleonico a Venezia patria di parrucche rientrato a casa dopo la pace di Campoformio (1797). Secondo un´altra leggenda, l´invenzione spetterebbe a un elvese, cameriere in un albergo a Parigi. Lì avrebbe conosciuto un americano venuto in Europa per acquistare i capelli necessari ai fabbricanti di parrucche di NewYork. L´intraprendente elvese avrebbe venduto i capelli della sorella, e poi delle amiche di questa e così via. Era nato il primo caviè, raccoglitore e commerciante. La storia porta però anche qualche esempio di chi divenne anche produttore di parrucche. Un nome su tutti: Jean P. Isaia (1884-1973). Le sue tappe: Villafalletto, Parigi e, definitivamente, Londra.





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